Silvana Amato

Silvana Amato – Mano, testa, libro

ITA - #editoria #grafica #agi

Wannabe

durata 08:40

WANNABE – Un podcast rivolto ai designer del futuro che esplora gli infiniti mondi del progetto attraverso l’esperienza dei suoi protagonisti.
di UNI.RSM DESIGN TALKS
a cura di Alessandro Renzi ed Emanuele Lumini
advisor Alessio Abdolahian
speaker Alessandro Renzi

Silvana Amato

Silvana Amato, vive e lavora a Roma. Si occupa di grafica editoriale sviluppando in particolare progetti in ambito culturale. Nel suo lavoro coesistono tecnologie analogiche e digitali, risorse manuali e tecnologia. I suoi progetti sono esposti in numerose collezioni pubbliche internazionali e fin dal 2002, insegna e tiene conferenze in diverse università italiane.
È la prima graphic designer italiana a far parte dell’AGI (Alliance Graphique Internationale), l’associazione che riunisce i più importanti professionisti mondiali del settore.

Silvana Amato - Ritratto

Ciao, sono Silvana Amato e mi occupo di grafica in particolare di grafica editoriale, perché la grafica è un settore quantomai vasto. Quindi se devo dare proprio una definizione più completa mi occupo di grafica editoriale oppure comunque di lavori che sono sempre in qualche modo in ambito culturale. Ho lavorato per i teatri, per la musica, per esposizioni di mostre.

Insomma questo è l’ambito nel quale opero e devo dire che in questo senso sono davvero fortunata perché alla fine ho fatto di quello che erano i miei interessi personali, anche la mia professione, che ritengo sia un grande lusso. 

 Ma non so. Io diciamo che ho una certa curiosità rispetto al mondo editoriale, l’ho sempre avuta quando ero bambina passavo ore e ore nella casa delle mie zie a guardare dei libri, che peraltro per me erano degli oscuri oggetti di saperi che non avrei mai acquisito perché si trattava di libri di ingegneria fisica, eccetera.

Però l’oggetto libro mi è sempre piaciuto, ho sempre avuto un’attitudine a guardarlo. Un altro momento significativo, sempre nella mia infanzia che mi ricordo che mia madre mi portava a vedere le mostre, Caravaggio, … , Roma è piena di cose e a me alla fine piaceva molto fare queste cose. Ma la cosa che mi affascinava veramente tanto era quando, quando nel traffico di Roma ferma al semaforo rosso, vedevo passare dei camion con delle scritte giganti che erano perfette, io mi chiedevo ma come si fa a scrivere così bene a corpi …

All’epoca non sapevo cosa volesse dire corpo così grande, però per me era una grande curiosità e mi sembrava un’arte eccelsa, quella della forma della scrittura già quand’ero bambina. Questo va beh, ha fatto percorsi di studi diversi, per esempio io sono una ragioniera come Albe Steiner, però a un certo punto poi sono tornata a capire che quello che mi interessava erano proprio i libri, la forma della scrittura.

E tutto questo che ora costituisce il mio mestiere. Se devo parlare di un valore guida al quale sono arrivata adesso, sono sicuramente che quando faccio un progetto tendo a partire dai contenuti. Io principalmente mi occupo di editoria, di libri quindi molto spesso leggo, diciamo pezzi dei libri, che poi dovrò in qualche modo restituire in forma di copertina o di interni Poi sono anche molto affascinata dagli spazi vuoti, dal bianco come come un fattore di potenzialità espressiva.

Quindi quando progetto tendo a non sovraccaricare mai troppo le cose che faccio, sono progetti fatti di pochi elementi, con un grande uso del bianco che nel caso mio coincide molto spesso con la carta. Perché io lavoro poi sostanzialmente molto con l’editoria cartacea e quindi lì il bianco significa il materiale, in definitiva.

 Un momento critico che ho dovuto attraversare è stato secondo me, proprio all’inizio della mia professione.

Cioè io ho fatto degli studi in un momento in cui i computer non c’erano e il mio primo lavoro, … , Io so no arrivata in studio nel mio primo studio nel quale ho lavorato insieme ai computer, quindi io avevo imparato delle cose che poi nel lavoro sostanzialmente non avrei utilizzato. E per me è stato abbastanza critico iniziare una professione nuova con uno strumento che non avevo mai frequentato.

Però, col senno del poi, questa cosa devo dire che è stata molto, invece molto positiva perché ho fatto ho esercitato una manualità che altrimenti probabilmente non avrei mai potuto sviluppare e capire attraverso le azioni concrete, proprio attraverso la manualità, come si costruiscono degli oggetti o come si progetta, fa capire molto meglio poi il senso del progetto successivo, quando la cosa avviene anche solo in forma digitale, cioè il passare attraverso la materialità delle cose secondo me è una, è una faccenda importantissima. Io sono profondamente convinta del legame che c’è tra tra mano e cervello. Penso che questa dualità sia proprio alla base non solo dei processi evolutivi legati alla grafica editoriale, ma di qualunque generale processo evolutivo. La cosa che posso sicuramente consigliare agli studenti di fare è di non tralasciare mai l’aspetto di ricerca all’interno del loro procedere.

Questo sia nella fase di studio, in una fase universitaria, ma anche dopo, perché la parte di ricerca è quella che ti permette di stare un pochino sempre al passo con i tempi, ma anche di fare dei progetti meno vuoti, più ragionati e che forse aiutano proprio lo sviluppo stesso della tua personalità. Quindi agli studenti dico approcciate le cose in modo colto.

Non non vi fermate solo alle nuove tecnologie nell’ambito della ricerca è una cosa importantissima, dopo di che io ho un’invidia enorme per loro, che hanno una velocità incredibile di apprendere tutte nuove potenzialità legate alla tecnica. E questo è senz’altro un’arma che hanno e che dovrebbero sfruttare al meglio. La mano in questo caso può essere anche la tecnologia, ma il cervello deve rimanere.

Quindi diciamo che questa dualità viene mantenuta, che si tratti di carta o che si tratti di monitor.

Dunque quattro cinque anni fa non ricordo con precisione sono entrata a far parte di un’associazione internazionale che si chiama AGI – Alliance Graphique Internationale che raccoglie e mette insieme grafici da varie parti del pianeta. E io ci sono arrivata, diciamo quasi un po’ per caso.

È una soluzione importantissima ma io con il mio modo di procedere sempre un po’ anarchico, non avevo messo a fuoco proprio l’esistenza dell’AGI, invece, è un’esperienza notevolissima, perché significa ogni anno riuscire a incontrare persone che condividono il tuo mestiere, ma che vengono da tanti luoghi del pianeta. Quindi con diciamo dei percorsi culturali completamente differenti quindi anche dei processi estetici differenti.

Insomma, è una cosa che io trovo proprio estremamente estremamente stimolante. È un’associazione formata da grafici piuttosto importanti tra i grafici italiani, non so, c’era Munari e Albe, Steiner, insomma, e tanti altri. Attualmente saremo una decina e io sono stata la prima donna a entrare in questa associazione che è un fatto abbastanza particolare perché effettivamente le donne sono meno presenti nell’ambito del design.

Però in Italia sono particolarmente meno presenti, cioè che non ci sia stata mai una donna a far parte di questa categoria. Io la trovo una cosa inconcepibile. Adesso è entrata anche un’altra Luisa Milani, e spero che ne entrino altre. Non è che penso che il valore di un progetto sia legato al fatto che uno sia un uomo o una donna per questa è una cosa naturalmente stupida.

Però certo è significativo, visto che io ho tantissime studentesse donne da sempre. Come mai poi alla fine i progettisti continuano a risultare essere uomini quindi io direi anche alle studentesse di lavorare un po’ in questo senso, ogni volta che devo fare un incontro pubblico devo parlare pubblicamente una cosa che non faccio volentieri, proprio non è la mia natura.

Però siccome ho capito che non c’è molta rappresentanza femminile in questo senso, mi sforzo e proprio forzo questa timidezza enorme che mi contraddistingue. Forse anche il fatto che l’inglese non lo so così bene e parlo e cerco di far vedere che esistono delle voci diciamo sonoramente femminili.