Luis Sal - Alessandro Renzi - Visiting - La Memoria al tempo dei social - UNI.RSM DESIGN TALKS - USMARADIO - PODCAST

Luis Sal – La Memoria al tempo dei social

ITA - #social #memoria #comunicazione

Visiting

durata - 17:24

Usmaradio X Giornata della Memoria 2023

Alessandro Renzi incontra Luis Sal per un approfondimento sul workshop “Vapore” a cura di Unirsm Design. Un laboratorio dedicato ad individuare nuove modalità di rielaborazione, esposizione e comunicazione delle immagini dell’Olocausto in chiave espositiva e che si interroga sul potere comunicativo delle immagini rispetto al passato e nei confronti delle nuove generazioni.
In collaborazione con il corso di Design della comunicazione della prof.ssa Lucia Roscini.

VISITING – Conversazioni attorno al design
un podcast di UNI.RSM DESIGN TALKS
a cura di Alessandro Renzi ed Emanuele Lumini
advisor Alessio Abdolahian
speaker & host Alessandro Renzi

Luis Sal

Luis Sal nasce a Bologna nel 1997. Apre il proprio canale Youtube nel 2009: in poco tempo, gli iscritti aumentano in modo vertiginoso, e Luis diventa una vera e propria star del web. Oggi Luis vanta 1,46 milioni di iscritti e oltre 250 milioni di visualizzazioni. Seguitissimo anche sui social, il suo profilo conta oggi 1,9 milioni di follower. È autore di 2 libri di successo: “Ciao, mi chiamo Luis” (2018) e “Il Luismo” (2021) dove spiega e racconta i principi della sua filosofia di vita. Si occupa di comunicazione e marketing per varie aziende, è un volto tv grazie al reality di Amazon Celebrity Hunted dove concorre assieme all’amico Fedez, e con lui fonda un podcast, Muschio selvaggio.

Luis Sal - Ritratto

Alessandro Renzi    Benvenuti, benvenute. Questo è Visiting, la rubrica di UNI.RSM DESIGN TALKS che vi porta a conoscere gli ospiti del corso di laurea in Design dell’Università di San Marino. Io sono Alessandro Renzi e oggi qui a Usmaradio abbiamo il piacere di ospitare nuovamente Luis Sal.

Luis Sal    Ciao! Grazie, grazie.

A. R.    Ri-benvenuto.

L. S.   Grazie! Adesso è regolare quasi una volta l’anno sembra, stiamo mantenendo un ritmo perché io venga qui.

A. R.    Timbri il cartellino, appunto. Infatti dico, nuovamente proprio perché già nel 2021 Luis ha condotto uno dei workshop estivi organizzati dal corso di laurea e anche all’epoca lo avevamo intercettato per un’intervista che potete riascoltare proprio qui sull’area podcast di Design Talks e lo ritroviamo oggi in questa fredda freddissima giornata, nevosa anche, di gennaio qui sulla cima del Monte Titano, perché Luis sta collaborando con il laboratorio di design della comunicazione della professoressa Lucia Roscini. Nello specifico, in questo laboratorio si è affrontata la tematica della deportazione nei campi di sterminio nazisti. La ricerca è partita dalle foto contenute nel fondo deportazione dell’archivio Albe e Lica Steiner. Ci sono circa 900 foto tra il 1933 e 1950 e l’obiettivo di questo workshop è di riproporre una modalità diversa di selezione di elaborazione di esposizione e anche quindi come comunicare queste immagini rispetto invece a quanto fatto nel secondo dopoguerra, quindi negli anni ’60 / ’70, quindi un po’ di tempo fa.

L. S.   È una tematica abbastanza easy, diciamo.

A. R.    Proprio leggerissima. La settimana scorsa abbiamo avuto qui con noi in studio proprio Anna, figlia di Albe e Lica Steiner, che è stata ospite d’onore anche lei di questo laboratorio, con cui abbiamo fatto un ricco approfondimento sempre podcast e che potete ascoltare nell’area sempre di Design Talks.

Luis Sal, sicuramente il nostro pubblico più giovane non ha bisogno di presentazioni, infatti gli studenti qui all’università sono in fermento da questa mattina, appena si è diffusa la voce, sei apparso in mezzo alla nebbia e tra la neve. Pero ecco, Luis nasce come youtuber e in poco tempo diventa una star del web con milioni di follower sui social media è anche un collega, perché ormai è un animale da podcasting, possiamo dirlo, infatti il suo programma Muschio selvaggio è uno dei più ascoltati nel panorama italiano.

L. S.   Grazie che mi hai tolgo l’onere di dover spiegare quello che faccio.

A. R.    Luis è un comunicatore contemporaneo a tutti gli effetti, quindi chi meglio di lui può dare il suo contributo e la sua visione all’interno di questo workshop che vuole occuparsi proprio quindi di capire quanto la memoria delle immagini oggigiorno diciamo abbia presa, attecchisca, tra tante virgolette su generazioni più giovani che comunque sono nate e sono continuamente bombardate come insomma tutti noi, da impulsi multimediali, da foto, da video, dove forse il valore evocativo di queste immagini non ha più quella forza prorompente che poteva avere negli anni ’60 / ’70, dove la memoria era ancora ancora viva.

Luis, partiamo da, volevo chiederti innanzitutto in che modo ti sei documentato appunto su questo, su questo argomento. Quando ti è arrivato l’invito a partecipare da parte di Lucia e se conoscevi già l’archivio e hai visto qualcosa rispetto ai risultati che già sono stati esposti la scorsa settimana da parte degli studenti.

L. S.   Io mi sono documentato su tutto il lavoro di Steiner appena ho saputo di questo workshop perché non ne sapevo niente. E questa è una cosa abbastanza indicativa del fatto che la memoria è importante tutti gli anni, la memoria intesa come la Giornata della Memoria, di anno in anno siamo sempre più distanti dal problema, diciamo è sempre più importante che sì che si ribatta il ferro. Ne parlavo venendo in qua con la prof. Elena (Brigi), del fatto che gli ultimi rimasti, anche i figli dei sopravvissuti o di chi è stato vittima dei campi di concentramento e di tutto quello che è accaduto, se ne stanno andando, se ne stanno andando sempre di più e sono sempre più distanti da noi e quindi diciamo che il mio ruolo qui è un po’ quello di fare, di aiutare a fare da portavoce alle immagini che, come detto, tu sono viste e riviste in un certo senso e vanno rifatte vedere sotto un’altra luce, soprattutto perché siamo, siamo totalmente desensibilizzati da un argomento così lontano e quindi io non porto un argomento. Io porto il mio metodo di trattare un argomento.

A. R.    E sei anche un ponte generazionale rispetto a questo argomento e appunto persone più vicine alla tua età, più giovani.

L. S.   Esatto, sì io fungo da, non riflettore, ma proprio qui, in particolare all’Università vengo fare l’esperto tra virgolette di soglia dell’attenzione bassa. Io porto la mia difficoltà a stare attento sui social.

A. R.    Infatti, proprio a tal proposito, tu vieni dal mondo dei social. Il mondo proprio di queste piattaforme sembra avere una relazione molto particolare con il concetto di memoria. Sembra infatti che ci sia quasi la volontà di non ricordare, di non lasciare tracce dell’utilizzo che si fa dei video rispetto alle immagini. Le stories che spariscono dopo 24 ore, una elasticità di opinioni che sempre di più hanno priorità rispetto, per esempio, alla coerenza di dire una cosa e di mantenere una posizione su quel fenomeno. Sicuramente non è un fenomeno, appunto solo circoscritto al mondo dei social, ma anche della società in cui viviamo (culturale). Sei d’accordo con questa visione?

L. S.   Dicono che se non puoi combatterli, alleati. In un certo senso va sfruttato e va cavalcato per il per il bene. No, quindi io sono vittima e carnefice dei social nel mondo dei social, quindi sono in primis un fruitore. Poi sono diventato un creatore, diciamo. Non è un male, perché sono solo uno strumento. Sì, influiscono sulla nostra cultura. E sì, bisogna iniziare a usarli in modo intelligente. Ma alla fine si ripete sempre tutto. No? Quindi però con la memoria bisogna non ripetere gli errori. Quindi diciamo che la questione soglia dell’attenzione e dimenticare e distruggere tutto ciò che abbiamo fatto ieri sui social. È un tema che io su cui ho sempre lavorato perché tutto ciò che ho fatto io personalmente i miei video sono sono stati fatti per il me del futuro. No? Sono un catalogo, sono un archivio. Lavoro sempre sul passato, sul futuro.

A. R.    Certo, è vero. Molti degli utenti che usano Instagram, che usano altri social, comunque, vedono l’archiviazione dei propri contenuti comunque in maniera chiaramente molto autoreferenziale, nel senso che la storia sì esiste sui social, però è una storia individuale, una storia spesso che dimentica appunto i fenomeni collettivi E però, visto che è una grande sfida del presente, tanto vale insomma riflettere e provare a darsi delle risposte.

A. R.    Sì perché o può o banalizzare la storia o valorizzarla allo stesso tempo, è difficile. Bisogna trovare una quadra per cui nel workshop che stiamo facendo oggi, rendere interessante qualcosa che non c’entra, non “sta bene” sui social diciamo, no? Parlare del Giorno della Memoria in modo accattivante e veloce come si fa sui social, è una sfida che io ahimè, mi metto sempre a fare queste sfide, perché preferisco usare i social per cose un pelo più giuste della spinta di un prodotto o me stesso. Capito? In questo caso si sta provando a spingere un messaggio.

A. R.    Si poi le risposte a questo interrogativo arriveranno comunque sempre solo dalle persone e dai content creator, piuttosto che dall’algoritmo o comunque da…

L. S.   Sì, sì.

A. R.    …da chi antepone comunque altri interessi rispetto alla memoria o alla sensibilizzazione di un determinato argomento come la Shoah ma molti altri. insomma. Diciamo che questo più evocativo.

L. S.   Secondo bisogna conoscere lo strumento e saperlo utilizzare, quello che porta oggi all’Università di San Marino è le mie expertise tra virgolette dell’utilizzo dei social perché bisogna conoscerli e bisogna saperli utilizzare al momento, perché sono potenti e quindi, a prescindere dal messaggio, bisogna saperlo veicolare nel modo giusto senza per forza ‘memare’, senza far sì che si autodistrugga in 24 ore, trovare una chiave. E i ragazzi sembrano sempre molto sul pezzo, perché siamo tutti nativi digitali.

A. R.    Sono sulla buona strada. A tal proposito, chi sa usare più la comunicazione contemporanea diciamo che nella comunicazione politica forse negli ultimi anni abbiamo assistito a un fenomeno in cui uno schieramento soprattutto ha avuto più efficacia comunicativa rispetto ad altri, proprio perché quello che dicevamo prima la coerenza non è più così importante e dare risposte semplici a problemi a questioni complesse va di pari passo un po’ a questa necessità di cui sopra, ovvero dell’immediatezza di non dover preoccuparsi di quanto detto una settimana, un mese, un anno prima.

L. S.   Rimanendo in tema, penso a quanto era efficace la comunicazione la grafica e l’estetica nazista, anche fascista, chiara e impattante, istantanea, evita le complicazioni e va dritta alle risposte facili.

A. R.    A proposito, visto che ha aperto proprio questa finestra su quasi cent’anni fa, è un po allarmante vedere che oggi come allora fanno presa certi messaggi forti, no, e che non non girano molto attorno alla complessità del problema. Comunque viviamo in un mondo profondamente complesso e quindi c’è questo conflitto tra risposte appunto semplici, immediate e problemi seri.

L. S.   Si che abbiamo dei trigger, siamo abbastanza leggibili e diciamo il popolo si legge facilmente ed è facile comunicare utilizzando gli stessi schemi facili per comunicare.

A. R.    Noi siamo qui oggi con questo laboratorio di Lucia Roscini a individuare questi percorsi attraverso cui, mantenendo il mezzo, mantenendo il sistema, si possa comunque provare anche a reinventa appunto questa comunicazione. Comunque ci stiamo girando intorno da un po’, però il punto è questo trovare, visto che siamo qui all’Università di Design, in cui la professione del designer, del progettista è quella di individuare nuovi percorsi. A tal proposito, che cosa hai visto questa mattina al workshop? Facciamo una piccola nota, anche se questo podcast verrà ascoltato poi a posteriori è in corso. Quindi tu oggi hai dato un’occhiata un po’ alle immagini, soprattutto alle foto, alle grafiche prodotte la settimana scorsa. Oggi cosa farete? Cercherete a sua volta di rielaborarle e utilizzare un altro linguaggio oppure utilizzare dei video?

L. S.   Esatto, andremo a elaborare le immagini che i ragazzi hanno usato per per questa mostra, che faranno. Quello che ho portato io è stato un problema nel senso gli ho detto ragazzi, qui dobbiamo, dovete vorrete sintetizzarlo a tal punto da interessare lo spettatore con la soglia dell’attenzione di 5 secondi che l’anno scorso era 15, che tre anni fa era 30…

A. R.    Sempre meno quindi. Questo non è proprio un grandissimo segnale.

L. S.   Quindi ecco, diventa più complicato perché bisogna renderlo meno complicato. Cioè come fai a semplificare una cosa su cui hai lavorato per più di una settimana, su cui si lavora di complicazione, eccetera? Qui allo spettatore dei social non interessa, allo spettatore i social interessa che nei primi secondi tu mi faccia, mi dia qualcosa che mi interessi.

A. R.    Quindi il contenuto si adatta alla forma anche in questo caso.

L. S.   Sì, in questo caso poi il contenuto è molto, come dicono i ragazzi “sono immagini già viste e riviste”, bisogna riuscire a circonvenzione, come si dice la circonvenzione lo spettatore per poi spiegargli che può venire ad approfondire dal vivo. Quindi diciamo che in questi video che farò fare ai ragazzi che faranno i ragazzi, devono…

A. R.    Si cattura l’attenzione. Son dei trailer rispetto a quello che è invece il core di tutto il progetto, ovvero la mostra in cui lo spazio la soglia di attenzione, per fortuna ancora fisicamente è un pochino più ampia rispetto ai 3 secondi di cui parlavi prima.

L. S.   Che è un’altra cosa, esatto. Quindi non si devono mettere a raccontare il progetto intero in 15 secondi, devono riuscire a far intuire di cosa si tratta, a rendere abbastanza interessante il video fino al punto in cui apparirà sullo schermo la scritta “Vieni a vedere dal vivo”, è letteralmente una locandina video, una locandina animata, una locandina con voce, magari. Vediamo quello che tirano fuori, anche perché gli ho detto, sperimentate, tanto siamo qui, un po’ per rischiare, un workshop è un po’ un tentativo e secondo me sono abbastanza tutti sulla giusta strada perché conoscono molto bene il loro progetto. Quello che gli sfido a fare, gli dico di provare a fare è mettersi nei panni dello spettatore che non sa niente del loro progetto, nonostante loro sappiano tutto e di più e che siano capaci di spiegarlo in parole povere, come se lo spettatore non sapesse niente perché effettivamente è così. Io fungo da spettatore e continuo a tornare sui loro progetti e dire questo non lo so, questo non so che cosa significhi.

A. R.    Certo anche immedesimarsi nei panni di un pubblico, non dico generalista, però comunque più ampio possibile, proprio per individuare quelli che sono i punti di forza della comunicazione credo che sia un altro aspetto che deve fare i conti con questa soglia compressa di attenzione, a sua volta del pubblico e quindi tu sei qui anche per questo, no?

L. S.   Io sono il prototipo del mio pubblico e ciò che faccio voglio che piaccia prima a me che ad altri ma infatti sulla questione memoria, dicevi pubblico generalista sì è importante che si colpisca pure il pubblico e soprattutto il pubblico che non è in target, perché il pubblico che è in target non ha bisogno del…

A. R.    Quale secondo te il pubblico non è un target per questo tipo di argomento che comunque è uno dei fatti storici più importanti dell’ultimo secolo?

L. S.   Beh, direi i ‘giuvini’, i giovani…

A. R.    E qui, torniamo all’incipit iniziale.

L. S.   Perché il giovane che non ha la soglia d’attenzione di leggersi una pagina di un libro, gli proponi le immagini a scuola, gli proponi il capitolo da leggere, gli proponi di tutto. Proponigli il Tik Tok che lo invita ad approfondire dal vivo perché chi già approfondisce non penso abbia bisogno di essere catturato con un Tik Tok, no? Quindi qui stiamo parlando di video locandine che vanno a colpire chi non è di solito interessato, chi scrolla e si vede da un video di Andrew Tate a un video di videogiochi. Capito?

A. R.    Di gatti.

L. S.   Di gatti!

A. R.    Book Tok vari…

L. S.   Esatto…

A. R.    Se va bene!

L. S.   Eh Book Tok, è già troppo!

A. R.    Beh, però è uno dei trend più vasti, insomma, dell’ultimo periodo.

L. S.   E l’importante è che lì che si colpisca il pubblico che di solito non viene colpito, ecco che non sia limitato a chi ne capisce, diciamo no? A chi vuole capire, anche.

A. R.    Si è tornato un po quello che abbiamo detto all’inizio, adesso che appunto i testimoni dell’Olocausto sono sempre più rari o anche solo incontrarli. Ricordo alle scuole medie avevamo proprio avuto l’occasione di conoscere uno di questi testimoni e devo dire che quella componente lì fisica appunto torniamo alla materia, all’empatia umana, è stata veramente molto importante e purtroppo adesso siamo nell’epoca in cui dobbiamo utilizzare altri strumenti proprio per sviluppare questa maggiore sensibilità, affinché soprattutto la memoria aiuti a conoscere i segnali che potrebbero presagire magari dei fenomeni simili. Ci auguriamo di no, ovviamente.

Luis Sal per Design Talks. Grazie ancora per essere stato con noi, per questa chiacchierata. Ringraziamo anche Lucia Roscini e Ilaria Ruggieri insieme a tutto il corso di laurea in Design per la realizzazione di questo incontro. Qui Alessandro Renzi per Usmaradio, un saluto a tutti gli ascoltatori e a tutte le ascoltatrici.

L. S.   Grazie, ciao!

A. R.    Ciao, ciao.