Luigi Farrauto

Luigi Farrauto – MappaMente

ITA - #cartografia #mappa #interfacce

Wannabe

durata 04:54

WANNABE – Un podcast rivolto ai designer del futuro che esplora gli infiniti mondi del progetto attraverso l’esperienza dei suoi protagonisti.
di UNI.RSM DESIGN TALKS

a cura di Alessandro Renzi ed Emanuele Lumini
advisor Alessio Abdolahian
speaker Alessandro Renzi

Luigi Farrauto

Luigi Farrauto ha un PhD in Design, ma visto lo scarso senso dell’orientamento disegna solo mappe. Ha vissuto a Porto, Amsterdam e Doha, è stato visiting researcher al MIT di Boston e docente a contratto in varie università italiane. Oggi vive a Milano, dove Insieme ad Andrea Novali ha aperto nel 2017 il 100km studio, specializzato in cartografia, segnaletica e wayfinding. Innamorato sia delle lingue sia di Asia e Medioriente, nel tempo libero studia l’arabo e il cinese. Autore Lonely Planet Italia dal 2013, ha scritto una dozzina di guide di viaggio e la Guida per salvarsi la vita viaggiando, con Remo Carulli.

Luigi Farrauto

Buongiorno a tutti e a tutte, mi chiamo Luigi Farrauto e nella vita mi occupo di mappe e cartografia.

C’è da dire che ho uno scarsissimo senso dell’orientamento proprio quasi invalidante, nel senso che purtroppo non mi oriento neanche al supermercato. Ero in Marocco e mi ero perso nella Medina come tutti. E sono riuscito a orientarmi solo grazie a una segnaletica magica che era stata fatta da qualcuno ed era evidentemente progettata. Mi io ricordo che ero al terzo anno di università e col fatto che amo molto i viaggi mi ha fulminato l’idea che potessi essere l’artefice dell’orientamento alle persone.

Quindi da lì ho capito che mi piaceva e ho iniziato a farlo. Questa passione, questo interesse che avevo per l’orientamento e per le mappe, ho fatto prima una tesi di laurea sulla segnaletica della città di Damasco in Siria, che andò molto bene, il governo siriano la realizzò, addirittura. Da lì poi ovviamente mi ero automaticamente specializzato in wayfinding. Quindi subito dopo la laurea, poi sono riuscito a lavorare da Mijksenaar, uno studio olandese molto, molto importante nel wayfinding. E da lì poi ci si marchia, non fai più nient’altro una volta che fai wayfinding.

La situazione italiana almeno, già all’estero va molto meglio, tutto ciò che è grafica legata all’architettura, all’ambiente è vent’anni indietro rispetto al resto dell’Europa. Infatti, una volta che ho creato lo studio, la questione più grossa più spinosa è stata quella di banalmente trovare clienti. Perché in un mercato, quello italiano, dove la segnaletica non è considerata perché veniva sempre fatta improvvisata dagli architetti che poi facevano gli spazi. Si tratta quindi inizialmente di educare il cliente al fatto che serve il tuo lavoro e credo che valga in tutti gli ambiti.

C’è sicuramente molta più consapevolezza (ora), ma così come tutte le città italiane un po’ stanno cambiando anche da quel punto di vista, le grafiche cambiano vengono fatte cose sempre più ad hoc, quindi c’è un po’ più attenzione adesso. Siamo ancora lontani dal momento tipo il web nei primi anni 2000, dove chiunque faceva i siti internet faceva un sacco di soldi, ma piano piano stiamo educando anche questo. La vera difficoltà, secondo me, è quella di decidere poi di farlo in Italia, perché certe cose all’estero vanno meglio. Non è proprio per essere esterofilo, nel design logicamente dico, c’è un mercato molto più attento, quindi è stato anche molto difficile educare il pubblico italiano, i clienti italiani a quelli che sono un po’ i miei valori del progetto, ossia: la chiarezza, la segnaletica non deve essere figa deve essere chiara e deve essere comprensibile. Il mio lavoro va molto, molto lontano da quei valori estetici del design bello. Si tratta più di design funzionale, quindi questa è una cosa che effettivamente ti obbliga a scalare delle montagne un po’ più ripide perché non c’è quasi mai il fattore “wow” nel design della segnaletica. Anzi, a mio avviso quando c’è qualcosa che non va perché il mio lavoro funziona quando nessuno se ne accorge che l’ho fatto.

C’è proprio una scuola ormai anche di produzione delle mappe, un po’ perché quasi si è capito che gestire tutti i livelli di complessità a livello di colori, forme, contrasti, eccetera non puoi farlo in troppi modi, cioè quel modo lì. E poi cambiano i colori, grossomodo, ma c’è poco da cambiare. Abbiamo importato quel metodo e lo stiamo applicando bene secondo me, quindi sono molto positivo per il futuro.

Credo che l’unico consiglio sia quello credo più classico nel design, che è quello di essere curiosi. La curiosità è un dono, più si è curiosi, più ci si fa domande, quindi sì, più si progetta. A mio avviso, perché il design sono sempre le risposte alle domande, più ce ne poniamo, più ne possiamo rispondere.