Altan in conversazione con Roberto Paci Dalò per Visiting di UNI.RSM DESIGN TALKS

Altan – “Come la disegni bene!”

ITA - #fumetto #illustrazione #satira

Visiting

durata 23:01

VISITING – Conversazioni attorno al design
un podcast di UNI.RSM DESIGN TALKS
a cura di Alessandro Renzi ed Emanuele Lumini
advisor Alessio Abdolahian
speaker & host Roberto Paci Dalò – Alessandro Renzi

Francesco Tullio Altan

Francesco Tullio Altan, noto come Altan, nato a Treviso nel 1942, ha vissuto infanzia e adolescenza a Bologna e ha compiuto i suoi primi studi a Firenze e Venezia alla Facoltà di Architettura. Verso la fine degli anni ’60, si è trasferito a Roma, dove ha iniziato la sua carriera come scenografo e ha collaborato nel campo cinematografico e televisivo come sceneggiatore. Le sue prime vignette e illustrazioni hanno trovato spazio nel mensile Playmen, rivolto esclusivamente al pubblico maschile. Nel 1970, si è trasferito a Rio de Janeiro, lavorando nell’industria cinematografica brasiliana. Nel 1974, ha avviato una collaborazione regolare come fumettista con diversi giornali italiani. Dopo il ritorno in Italia nel 1975, si è stabilito prima a Milano e poi ad Aquileia.

Durante questo periodo, Altan ha creato uno dei suoi personaggi più iconici, la cagnolina a pois rossi chiamata Pimpa, che ha conquistato il cuore dei bambini. Le sue prime opere destinate a un pubblico adulto sono apparse su Linus, un giornale con cui ha mantenuto una collaborazione duratura nel corso degli anni. Le sue vignette di satira politica, diventate famose, sono state pubblicate su riviste come Tango, Smemoranda, L’Espresso e sul quotidiano La Repubblica. Dal 1977, ha pubblicato numerosi libri e romanzi a fumetti. A partire dal 1992, ha illustrato l’intera serie di romanzi e racconti di Gianni Rodari. Nel 2001, ha ricevuto il Premio È Giornalismo, conferitogli da Giorgio Bocca ed Enzo Biagi, riconoscendo il valore informativo e la straordinaria sintesi delle sue vignette, paragonabili a un articolo di fondo.

Biografia - Francesco Tulio Altan

Roberto Paci Dalò    Usmaradio, al microfono Roberto Paci Dalò per il programma Visiting di Design Talks di UNI.RSM Design. Siamo oggi insieme a Francesco Tullio Altan, in arte Altan. Non c’è bisogno di presentazioni perché Altan è nell’immaginario di tutti noi. Vorrei solo dare i numeri, anzi uno, 167, 167 sono i suoi libri pubblicati fino ad ora. Ma cosa accomuna Altan ad architetti come Carlo Scarpa, Mies van der Rohe, Frank Lloyd Wright o Le Corbusier? Non si è mai laureato. Francesco, benvenuto a Usmaradio. Come mai sei qua? Cosa sta succedendo in questi giorni di settembre…

Altan    Sono stato coinvolto dal mio amico Riccardo Varini, che è il marito di una grande amica di mia figlia, quindi siamo un po’ di casa, a partecipare a questo workshop, cosa che io non ho mai fatto nella mia vita. Non so perché gli ho detto di sì, e siamo qui a lavorare con una dozzina di studenti del corso di design e ci stiamo provando ad arrivare qualche risultato.

R.P.D.    Sei preoccupato?

A.   Un pochino!

R.P.D.    Più all’inizio. Adesso siamo già…

A.   Cominciamo a muoverci abbastanza agevolmente.

R.P.D.    Ma non è strano? Allora questo workshop, questo laboratorio è un laboratorio dentro un corso di design. Come ti ritrovi?

A.   È quello che ho chiesto a Riccardo. Cosa c’entro io con questa cosa? E lui mi ha spiegato che la filosofia di queste cose è di mettere in contatto i ragazzi con delle persone che magari non fanno questo mestiere o sono al di fuori per aprirgli delle finestre sul mondo, su come si lavora a seconda delle capacità che ha ognuno e secondo lui, la mia capacità di sintesi di cogliere dei punti nodali delle cose che succedono potrebbe essere utile anche a loro. Non so come, ma ci proviamo.

R.P.D.    Allora, capacità di sintesi è proprio un pensiero chiave. Allora tu come ti ritrovi tra i grandi formati, le storie, Colombo, Ada ecc. ecc. e invece la vignetta, la vignetta che deve sintetizzare in una frazione di secondo un pensiero del giorno. Perché se non sbaglio, poi sono solo vignette quotidiane quelle che stai realizzando…

A.   No, no! Assolutamente, io ne faccio due alla settimana, una su Repubblica e una adesso sul Venerdì. Perché lavoravo con L’Espresso, ma cambiata la proprietà, è cambiato tutto. E ho preferito cambiare posto anche io.

R.P.D.    E come ti sei trovato a muoverti tra due modi di pensare diversi. Inevitabilmente, perché da un lato c’è questo problema della sintesi, della concisione.

A.   Sì, io ho cominciato con le vignette, i fumetti le storie lunghe sono venute un po’ dopo, quando sono entrato in contatto con Oreste Del Buono, che dirigeva Linus, che ha pubblicato le mie prime vignette anche la mia prima striscia che era Trino, la storia di un dio con un padrone che lo costringeva a creare il mondo. E poi a un certo punto ho detto “già che sono qui, provo anch’io a fare la storia lunga”. Difatti, la prima storia che ho fatto per loro era la storia di Colombo che mi è nata dalla lettura di un brano, di un diario di bordo in cui si diceva che il terzo giorno di navigazione, dopo la partenza da Palos, i marinai, se andate a chiedere all’ammiraglio quanta strada abbiamo fatto e se avevano fatto 60 miglia. E lui gli ha detto 3, perché aveva paura che questi “coraggiosi leoni del mare” allontanandosi da casa volessero tornare subito indietro. Questo mi ha dato l’idea che queste grandi imprese, che noi leggiamo nei libri di storia, forse hanno anche altre possibilità di essere lette. E poi ho introdotto nella storia un personaggio indio, cioè uno di quelli che Colombo “scoprirà”, che è nato lo stesso giorno di Colombo, uno qui e uno nell’America Centrale. E le due storie vanno avanti soprattutto dalla parte di Colombo, fino a che c’è l’incontro. Il mondo che io disegno è un mondo molto sporco, pieno di scarafaggi e di bestiacce che al contrario di quelle immagini che abbiamo sui libri di storia dove tutto è lindo, pulito, e questo è un po’ la mia maniera di cercare di vedere la realtà, spostare il punto di vista.

R.P.D.    Spostare il punto di vista è fondamentale. Poi in questi ultimi anni sulla Colombeide, c’è molta critica, sulla cosiddetta scoperta dell’America. Quindi c’è una critica tra l’altro continentale rispetto a tutta l’America. Io anche mi ponevo la questione adesso ascoltandoti tu hai un pezzo di vita importante a Rio de Janeiro. Un pezzo di vita che però ti sei portato nel presente.

A.    Sì, a parte che mi son portato una moglie e una figlia nata lì, che queste sono due cose piuttosto consistenti. Sono andato in Brasile la prima volta avevo 23 o 24 anni, è stato un cambiamento totale nel mio percorso. Ho lasciato l’università a 3/4 dove ero arrivato e ho cambiato completamente strada perché in vita mia in realtà ho fatto poche scelte, consapevoli dici “io voglio andare là”. Sono andato piuttosto dove la corrente mi ha portato un po’ il caso e in questo, in questo modo io sono stato una prima volta ci sono stato un anno, poi sono tornato un paio d’anni dopo e ci sono rimasto altri 5 perché la troupe, una troupe di cinema, che mi avevano cooptato e mi avevano portato lì gli altri sono tornati a casa. Io che avevo trovato Mara che è mia moglie, sono rimasto lì. Sicuramente la mia maniera di vedere le cose, di vivere sarebbe stata un’altra se non fossi andato lì. Quale non ne ho quale idea.

R.P.D.    Anche da un punto di vista proprio artistico formale, tu dici nel mio lavoro è pieno di cose sporche. Non sto dicendo che il Brasile sporco, ci mancherebbe. Però è proprio una visione e mi domando quanto questa può essere, non in maniera forzata, legata anche a questa lunga esperienza vissuta sul posto in Brasile.

A.   Quello no, non direi quello precedeva, perché quello veniva dalla mia voglia di ribaltare l’immagine corrente l’immagine stereotipata delle storie, io li ho imparato due cose fondamentali: la battuta e la sintesi. Perché i carioca sono dei “battutari” fantastici e riescono, usando quella lingua in un modo… con sintesi feroci, al contrario del portoghese di Portogallo, che è una lingua prolissa. A mettere in una “pipparola” di risposte una battuta tutto. E lì credo che sia stata una buona scuola, un’altra buona scuola per me è stato il mio vissuto a Bologna perché sono cresciuto a Bologna dagli otto ai vent’anni, dove si andava al cinema non per vedere i film ma per sentire le battute degli spettatori, i bolognesi non sono male in questo senso. Credo che venga da lì un certo metodo.

R.P.D.    Quindi Cipputi è debitore di questa crasi tra Bologna e Rio de Janeiro.

A.   Credo che un po sì, anche se per me Cipputi è un lombardo, anche se lavora alla Fiat. Quindi c’è una piccola contraddizione di tutto questo. Però sì.

R.P.D.    Con Cipputi tu sei il cantore di decenni di storia italiana visti dall’interno, dall’esterno, allo stesso tempo. Non ti voglio chiedere cosa pensi della situazione attuale, perché sarebbe una domanda iniqua e non giusta.

A.   Ti ringrazio.

R.P.D.    Ma Cipputi veramente è trasversale, riesce in realtà a incontrare persone di generazioni diversissime e anche con delle storie culturali diverse dagli anni ’70 ad oggi. Ma come fa ad essere così sempre attuale? E tra l’altro, Cipputi è iconico per cui è diventato veramente le battute di Cipputi sono proprio delle battute che poi vengono riportate.

A.   Il problema è che non è merito mio è il demerito della situazione italiana. Sono biglietti che ho fatto 40 anni fa e funzionano ancora non perché fossero, diciamo così, profetiche, semplicemente perché il Paese non è cambiato, ma apparentemente sì, ma nella sostanza poco.

R.P.D.    Quindi tutto cambia e nulla cambia. Da un certo punto di vista, ovviamente, con tutte le differenze, un po’ come Peanuts che sono delle battute, tra l’altro erano strisce quotidiane, che ancora oggi funzionano.

A.   Sì, perché quello è tutto basato sull’essere umano e l’essere umano cambia molto lentamente.

R.P.D.    Quindi le guerre sono le guerre, i conflitti sono i conflitti. E nonostante tutto quello che abbiamo attraversato, nelle poche migliaia di anni che sono passate, però ciclicamente si ritorna sempre…

A.   Dagli errori non si impara niente! Si impara solo a provare a rifarli.

R.P.D.    Ma secondo te, queste battute, queste frasi appunto di Cipputi che ogni volta sono rivelatrici, hanno cambiato qualcosa nella testa di alcune persone? Hanno contribuito a guardare la realtà per un attimo, come dici tu, in un altro modo spostando il punto di vista o purtroppo rimangono un altro intrattenimento?

A.   Ma io non lo so perché questo è difficile da stabilire. Forse in qualche caso sì, ma credo che il senso del mio lavoro sia piuttosto quello di creare un legame fra chi si riconosce e quello che io faccio, per cui si sentono meno soli e più consolatoria che aggressiva la mia tipo di satira.

R.P.D.    De facto ha contribuito a disegnare una comunità spersa.

A.   Credo di sì. Io so di moltissime case in cui ci sono delle vignette attaccate sul frigo attraverso le quali comunica il marito con la moglie o il padre con i figli.

R.P.D.    Ti senti un po’ testimone di questo?

A.   Un po’ lo sono, ovviamente.

R.P.D.     Senti, ma ora siamo a San Marino e resteremo qui fino a fine settimana. E dopo qual è la prossima scadenza?

A.   Da qui devo andare a Ascoli Piceno, dove c’è il festival di Linus, devo fare una conversazione con Sandro Veronesi e dopo torno a casa e mi metto a lavorare, perché non si può stare tanto in giro.

R.P.D.    Hai menzionato Linus, ma non per essere nostalgici, ci mancherebbe. Però, Odibi quanto ha contribuito, Odibi e tutti gli altri, quanto hanno contribuito con la nascita di Linus, a riconfigurare un po’ la percezione della realtà, del mondo?

A.   Della realtà del mondo non so dirti per il momento però hanno contribuito a farmi scoprire a me e a tantissimi altri, tutta una serie di lavori che si facevano in giro per il mondo soprattutto negli Stati Uniti, che noi non avevamo mai visto perché nessuno li aveva pubblicati e che mi hanno aperto la strada all’ipotesi di cimentarmi con queste cose. Perché, Crazy Cat, Li’l Abner, Dick Tracy che non erano mai stati pubblicati in Italia credo, sono diventate delle grandi scoperte per noi.

R.P.D.    Adesso mi ha fatto pensare per un attimo, ho fatto un’associazione proprio intercontinentale, alla Escuela panamericana di Hugo Pratt a Buenos Aires. Quindi, quanto in realtà l’America è stata importante. Ma mi verrebbe da dire che l’America Latina è stata quasi più importante rispetto all’America del Nord, proprio perché gli italiani sono andati lì e hanno trovato un mondo, un mondo del pensiero.

A.    Sì, hanno trovato un mondo hanno trovato dei talenti locali o i nostri sono andati lì e hanno fatto le cose più importanti lì. Io ho cominciato il mio vero e proprio lavoro come disegnatore con Marcelo Ravoni, che era un argentino, giornalista, collaboratore di case editrici, eccetera, che si è inventato il mestiere di agente per Kino. E io l’ho conosciuto un anno dopo che lui aveva aperto questa agenzia e ci lavoro, lui purtroppo non c’è più, ma io con la moglie lavoro da cinquant’anni. Per cui essere stato in contatto con Breccia e Oski e tutti i sudamericani, Muñoz, Sampayo, ecc. che venivano in Italia, passavano da questa agenzia, in parte ci rimanevano, in parte andavano avanti da altre parti però li ho conosciuti tutti e anche lì c’erano dei talenti fantastici.

R.P.D.    Senza voler comprare, perché non sarebbe il caso, ma a volte c’è il pensiero in un certo momento storico, che certi luoghi geografici abbiano consentito veramente di far succedere delle cose a una velocità impressionante. E anche noi si pensa a un passato come un passato di anziani. Ma dobbiamo pensare che il passato era anche fatto da giovanissimi autori, perché altrimenti uno ha una memoria distorta, una memoria inesistente distorta anche rispetto alla generazione. Quindi dobbiamo pensare essere ventenni in un luogo e in quel luogo incontrare tutti.

A.   Sì beh, io ogni tanto mi devo ricordare che ero anch’io un ventenne…

R.P.D.    Ma tu sei un trentenne, forever young!

A.   Scherziamo… sì poi ci sono dei periodi, non dico della storia, ma della nostra storia in cui c’era più movimento e più attenzione su certe cose, più entusiasmo nel farle. C’erano per esempio le riviste, con cui uno scopriva quello che facevano gli altri. Adesso le riviste in Italia non esistono più e quindi io per sapere cosa c’è di nuovo dovrei andare in una fumetteria, cercare dei libri. Non c’ho una fumetteria vicino a casa, è diventato un po’ complicato seguire quello che succede.

R.P.D.    Però è buffo perché questa sembra una contraddizione e in un’epoca come questa, di comunicazione continua, di condivisione di immagini. E poi talvolta ci si ritrova un po’ spersi di fronte anche alla quantità di cose che non ti permette di individuare la cosa giusta.

A.   Anche perché secondo me l’immagine sul web, eccetera non ha la stessa forza che ha l’immagine sulla carta, perché l’immagine sulla carta la tieni in mano, ci vai avanti e indietro. La guardi da vicino, da lontano… è un’altra cosa. Io, come non riesco a leggere bene un giornale sul web, così sarò vecchio perché so quei giornali tra un po non ci sono più, quindi…

R.P.D.    Hai usato una parola chiave che è proprio rivista e rivista non è solo, per così dire, la rivista di fumetto, ma pensiamo alla letteratura, la poesia quanto le riviste sono state importanti per creare delle comunità basate su qualcosa di tangibile, di concreto, che permettevano uno scambio di informazioni. E come se ora come ora, la quantità di informazioni alle quali possiamo accedere dal web è così tanta che non avendo diciamo una cura, qualcuno che ti permette proprio un pensiero di cura che ti permette di individuare le cose giuste, si trova di fronte a questo mare magnum di possibilità, ma senza essere in grado di selezionare effettivamente.

A.   Quel lavoro di filtro lì è indispensabile. Credo che lo sia sempre stato nella storia.

R.P.D.    Mercato italiano, mercato francese, mercato belga ti sei mai trovato, diciamo a intrecciare questi aspetti?

A.    Ho pubblicato quasi tutti i miei fumetti in Francia, che Casterman ha pubblicato il primo e ha pubblicato tutto il resto su una rivista che si chiamava À Suivre. Negli altri paesi non molto, perché non sono cose facilissime da esportare queste. Soprattutto le cose per bambini. Io disegno la Pimpa da 50 anni, abbiamo fatto innumerevoli tentativi di esportarla e qualche cosa è cominciato, ma… Ma non siamo riusciti a trovare un editore che si assumesse il carico di avere la pazienza di farla conoscere. E che ai bambini piaccia, io sono stato a Rio, per esempio, in un Festival del libro dove abbiamo presentato a dei bambini locali delle storie della Pimpa che in 5 minuti erano già dentro per un editore in Brasile non l’abbiamo mai trovato.

R.P.D.    Diciamo che l’editore giusto è quello francese. Perché in Francia?

A.   Soprattutto perché anche per i bambini c’è una forte caratteristica di ogni Paese sui modi di raccontare e sul tipo di disegno. Ogni Paese è abbastanza impermeabile, a parte a Disney che quello arriva dove si vuole e ogni altro difende un po’ la sua tradizione e la sua identità in quel senso, non è facile.

R.P.D.    La Francia, l’editoria francese, la cultura francese ha dato un sostegno anche ad autori italiani incredibile e tanti italiani, poi hanno vissuto o vivono a Parigi. Perché lì c’è stato un rapporto, un rispetto, diciamo…

A.   Soprattutto il rispetto.

R.P.D.     Un rispetto per il fumetto considerato diciamo una forma…

A.   …Letteraria uguale alle altre. Nelle librerie francesi trovi i fumetti in mezzo agli altri libri. Da noi c’è un piccolo scaffale dove nessuno va a guardare perché quei libri se li metti di costa non si vedono. No, loro hanno una tradizione in questo senso la più forte che c’è.

R.P.D.    Io ho ricordi veramente di decenni fa alla Fnac, per esempio a Parigi, di corridoi interi, moquettati con bambini e non solo bambini, anche adulti stesi a leggere. All’epoca la Fnac era veramente per i fumetti una biblioteca, senza che nessuno si preoccupasse di cacciare i lettori e infatti mi ricordo proprio queste sezioni enormi di fumetti, dove in realtà era possibile…

A.   Uno che legge, diciamo gratis per tre volte poi magari alla quarta se ne porta a casa uno.

R.P.D.    E qui ci porti ad un argomento interessantissimo a proposito di coloro che scaricano illegalmente da Internet ma già da tanto tempo, le statistiche vogliono che chi più scarica è più interessato e di conseguenza poi compra. Quindi è veramente contrario al luogo comune che parla solo di pirateria, ma è effettivamente per questa cosiddetta pirateria poi porta appassionati ad avere a che fare con l’oggetto del desiderio.

A.   Sì poi è un mondo… io non conosco bene quello del web, ma dove c’è tutto e il problema è un po’ quello di qualcuno che ti guidi a scegliere perché se no ti perdi.

R.P.D.    In chiusura di trasmissione, in questo laboratorio di questa settimana per te è stata una cosa, è una cosa un po’ particolare, perché non ne fai di solito. E quindi ecco, fai incontri pubblici, ti capita di avere dei momenti, appunto di relazione con le persone che vanno al di là della presentazione del libro?

A.  Io incontro i bambini soprattutto per la Pimpa e vado nelle scuole, nelle biblioteche delle scuole, eccetera.

R.P.D.   Come ti trattano i bambini quando capiscono che sei tu la Pimpa?

A.  Questo è il bello, perché io quando vado lì comincio a disegnarla e la prima cosa che mi dicono è “come la disegni bene!”, allora che io sia l’autore o no, non gliene importa un fico. Vedono però che so disegnarla e questo è bello con i bambini perché l’autore è proprio secondario. Quello che importa è il personaggio da cui io capisco che questo personaggio è un po’ di più di un personaggio sulla carta, ma è anche un po’ una compagna di giochi. Insomma, è un’amica. Con gli adulti? No, non faccio molti incontri perché appunto ho una certa resistenza. Però mi capita. Ormai insomma ho anche perso qualche remora, perché con gli anni si impara qualcosa, poco… però non è che c’è sia un grosso scambio.

R.P.D.    Certo, preferisci stare, diciamo in studio.

A.  Sì, è lì che sto bene.

R.P.D.    Perché poi c’è un sacco di cose da fare.

A.  Io faccio il mensile della Pimpa che sono 17 pagine di cose ogni mese, quindi già quello un po’… e poi ho le mie vignette e qualche altra cosa che non faccio più le storie lunghe che hanno necessità di un’energia fisica che non ce l’ho. Più.

R.P.D.    Poiché siamo in radio mi vien da pensare che tu la ascolti la radio, mentre lavori. È possibile?

A.    L’ascolto parecchio.

R.P.D.    Quanto parecchio?

A.   Se non devo fare qualcosa in cui pensare proprio a qualcosa, perché lì meglio il silenzio oppure un po’ di musica, ma senza parole, neanche le canzoni, casomai un po’ di jazz e pianoforte. E invece ci sono delle parti del mio lavoro che sono molto meccaniche. Se fai i neri su un disegno a matita già fatto non devo pensare a niente e allora lì la compagnia di una voce che mi racconta qualcosa, intanto che mi fa passare il tempo e mi fa sentire un po’ meno solo perché è un lavoro un po’ solitario.

R.P.D.    Ma tu hai una fonte di informazione principale che ti fa scattare la scintilla della battuta di Cipputi. E da dove arriva? Se arriva più da quello che leggi o da quello che ascolti come in questo caso la radio?

A.   Arriva un po’ dappertutto. Non saprei definire se c’è una fonte più o meno privilegiata.

R.P.D.    Ma anche giù al bar?

A.   Anche al bar, molto.

R.P.D.    Tu ci vai al bar, sì?

A.   Sì, ci vado ogni tanto. Il trucco secondo me è stare attenti a tutto quello che senti e ti accorgi, ogni tanto, che una frase viene ripetuta troppo spesso, che non cambia mai. E allora lì c’è qualcosa che non funziona.

R.P.D.    Francesco Tulio Altan. Grazie per il tempo, per la partecipazione e grazie per i tuoi 167 libri in italiano perché non abbia menzionato quelli in altre lingue. Grazie di cuore.

A.   Grazie a voi.