Alessandro Bergonzoni, ospite di Usmaradio e del corso di laurea in design per registrare un podcast

Alessandro Bergonzoni – Per stare e non distare

ITA - #distanza #parole #arte

Visiting

durata 24:33

VISITING – Conversazioni attorno al design
un podcast di UNI.RSM DESIGN TALKS
a cura di Alessandro Renzi ed Emanuele Lumini
advisor Alessio Abdolahian
speaker & host Elena Brigi, Riccardo Varini, Alessandro Renzi

Alessandro Bergonzoni

Quindici spettacoli teatrali e sei libri. Nel cinema: Pinocchio (2001) di Roberto Benigni e Quijote (2006) di Mimmo Paladino. Da anni scrive Aprimi Cielo sul Venerdì di Repubblica e su Robinson. Dal 2005 si avvicina al mondo dell’arte. Unisce al suo percorso artistico un interesse profondo per i temi legati al coma, alla malattia e al mondo carcerario. Parallelamente allo spettacolo Trascendi e sali ha presentato l’installazione performativa Tutela dei beni: corpi del (C)reato ad arte (il valore di un’opera, in persona). Nel 2020 per Garzanti esce Aprimi cielo, dieci anni di raccoglimento, articolato. Ha vinto il Premio della Critica, il Premio Hystrio, il Premio UBU, la Coppa Volponi, il Premio Nazionale Cultura della Pace-Città di Sansepolcro e il Premio Montale Fuori di Casa.

Alessandro Bergonzoni, ospite di Usmaradio e di Unirsm Design

Elena Brigi    Benvenuto a tutti. Benvenuto al nostro ospite Alessandro Bergonzoni. Siamo a Usmaradio qui a UNI.RSM DESIGN TALKS e abbiamo oggi un grande ospite, appunto Alessandro Bergonzoni. Insieme a me io sono Elena Brigi professore di storia del design all’università qui a San Marino c’è il professor Riccardo Varini, il direttore del corso di laurea triennale in design. Per noi oggi è stata una grande giornata, è una grande giornata, averti qui con i nostri carissimi e amatissimi ragazzi. Ti abbiamo chiamato per tanti, tantissimi motivi. Intanto fatemi fare una presentazione perché di Alessandro Bergonzoni si dice tutto o forse anche tutto sbagliato. In realtà non sono parole mie, sono parole di una persona molto più come dire importante, soprattutto con dei pensieri e delle azioni molto più alti che don Ciotti. In una intervista che ha fatto da Alessandro presentandolo, ha detto di lui “artista, attore, scrittore, uomo della parola ma soprattutto provocatore positivo di anime” e oggi a queste anime, che sono le anime dei nostri ragazzi, è venuto a parlare. Lo abbiamo chiamato qua per parlare su un argomento che per noi è importante in questo momento, che è la distanza. La distanza tra le persone, la distanza dalle cose, la distanza che non è distanza, che invece è tanta distanza, casomai dentro di noi. È un qualcosa che diciamo ha molto a che fare con il design, in realtà non solo con i pensieri e non solo con i fatti, ma anche perché ai designer e soprattutto ai designer del futuro si chiede l’onere di darci delle soluzioni riguardo a questa sempre più grande distanza tra noi e l’altro. Alessandro, cos’è la distanza per te?

Alessandro Bergonzoni    La distanza la definirei come linea di non fine per me. Linea di non fine vuole dire che la definirei non definendola distanza distanti. Ecco, se parlo di distanti e mi piacerebbe anche mettere un apostrofo d’istanti, cioè di momenti, momenti in cui noi ci allontaniamo e rientriamo. Oggi nella presentazione c’era “per stare e non distare”, distare da, io disto ma dentro c’è la parola sto stare, essere presente comunque, essere dentro, essere con, essere per, che sia il verbo che essere come persona, uomo. Il problema sarebbe quello di poter distanziare soltanto e unicamente, ma neanche quello, distanziare noi da troppo noi stessi. Ma già c’è il problema della distanza tra me e me. Molto spesso noi diciamo tra me e me ti dico una cosa, tra noi. Ecco, è ancora troppo piccola. Dovrebbe essere qualcosa di più allargato. Il tema riguarda certo il confine riguardante la distanza che c’è tra una guerra e chi in guerra non lo è. La distanza tra chi sta annegando in questo momento e non lo è, tra chi nega. Non solo nega l’evidenza, la distanza tra le parole, tra una parola e un’altra parola che le persone vorrebbero separate. La distanza tra i ministeri: ministero del Lavoro, ministero dell’Istruzione, ministero della Salute, ministero della Giustizia che se noi togliessimo questa “enne” e “i” nella parola ministro, diremmo mistero. Allora oggi ho cercato di elaborare anche il concetto del mistero che c’è nelle distanze. Dentro la parola distanza c’è anche istanza che ha una richiesta di, prima avevo detto abbattimento. Ma Riccardo, giustamente mi ha detto di trasformazione di questa distanza che può essere maggiore o minore, arrivando fino alla distanza di sicurezza che noi abbiamo nelle strade perché ci deve salvaguardare. Ma qual è la domanda che nessun domandante potrebbe mai interrompere? Qual è la distanza di sicurezza che ci fa sentire lontano dagli altri? Oggi ho parlato di lontano, perché lontano è l’unico albero che ha i frutti distanti da dove siamo noi e sei tu che decisi se andare a cercare. Forse andando a fare queste ricerche capisci che cos’è lontano.

Riccardo Varini    L’approfondimento che abbiamo cercato di sviluppare con te, per cui ti ringraziamo tantissimo, è quello di trovare anche le parole chiave, e tu sei maestro nel ragionare su questi aspetti, la chiave che faccia sì che le coscienze di questi nostri giovani colleghi sviluppino una propria autocritica, conoscano meglio se stessi per poi potersi porre nel mondo del progetto. Quindi queste parole chiave che tu ci porti sono sempre suggestive. Raccontano un altro mondo un’altra interpretazione. Da questo punto di vista mi è piaciuto ascoltare da te la parola, comporre la parola, colmare. Se vuoi approfondire anche…

A.B.    In un’università di design come la vostra, mi viene da dire la nostra, scusate, la parola composizione ha a che fare sia con la musicalità, con la frequenza, col suono e non solo col sono. La parola mi serve per quasi….se potessi darmi una definizione più che attore, artista o scrittore, compositore, compositore, vuol dire saper fare, diciamo così, una ricerca totale a 370 gradi di tutto quello che bene sta, ben si confà e risuona in armonia. Qualcosa che sia armonico. Io parlavo prima del ministero degli Interni, mi riferivo all’interno, Roberto (Paci Dalò, ndr) ha detto addirittura interior design, che significa ancor più precisamente il concetto di come sei composto dentro. Allora oggi ho voluto ricordare come colmare questa differenza tra l’esterno, come sono, come mi presento, eccetera. E invece la formazione del personale, che non è il personale ospedaliero personale, gli agenti, eccetera, ma il personale come sei persona dentro. Per colmare questo, per esempio, i migranti colmano la distanza con la salvezza col mare. Come si può colmare la loro capacità e la loro voglia di attraversare per salvarsi? Col mare quella distanza, la colmi col mare, colmare, allora non è solo un gioco di parole dentro anche il mare. E questa la dico adesso e solo per questa radio: le distanze sterminate. Noi quando parliamo di distanze, diciamo sterminate. Il mare è una distanza sterminata, la terra, il cielo sterminato, sterminato ma non sterminante. Quando noi volevamo parlare di sterminato volevamo parlare di vastità. Come tanti anni fa io feci voto di vastità, e Elena si ricorda perché è stata una campagna sociale che ho fatto per la Casa dei risvegli, il concetto era proprio questo, ma nella vastità di questo essere sconfinato e sterminato, non ci deve essere niente che abbia a che fare con l’uomo. Sterminare è una parola che anche nell’uso della misura di chilometri, piedi, eccetera, farei fatica a usare in questo momento, userei più vastità o voglia, desiderio di infinire.

E.B.    Senti, Alessandro, lo hai detto tu adesso da tantissimi anni tu sei un testimonial della Casa dei Risvegli e da sempre hai voluto testimoniare non solo donando la tua presenza, il tuo viso e le tue parole alla casa dei risvegli, ma quello che è la malattia. C’è la distanza nella malattia. La malattia è un grande problema, non è solo la malattia degenerativa della fine della vita, ma è anche una malattia che può essere mentale, una malattia che si vive appunto giornalmente. Quindi in realtà, anche qui di nuovo, noi designer abbiamo un grande compito di cercare di trovare dei modi in cui la vita di queste persone possa avere un sollievo, un’esistenza, che ci sia un valore, ecco. Riguardo la distanza nella malattia, visto che sono tanti anni che ti batti per queste cose qua… mi ricordo la bellissima campagna quando giravi con la fascia…

A.B.   Che oggi avevo e non ho messo!

E.B.    Dicci qualche cosa.

A.B.    “Vite in fasce” (nome dell’iniziativa). Se la distanza lavora e lavora male lo fa soprattutto nei temi della giustizia, nei temi della salute e nei temi della guerra che in parte lo capite voi meglio di me sono una composizione dello stesso ambiente, sono la composizione dello stesso luogo. Nella medicina, quando si parla di distanza e si parla di due distanze dal contagio, dall’essere, diciamo così, colpiti a nostra volta, ma anche la distanza che ci deve essere tra medico e paziente, perché il medico non può supportare o sopportare tutti questi casi perché li farebbe suoi, come parlo io, del diritto alla immedesimazione, quasi del dovere e del piacere, a l’immedesimazione. Ma si difendono parlando appunto di metterci un muro tra il paziente. Io ho sempre preferito dire almeno di te un vetro, nel senso che, pur stando dalla parte “giusta”, o dalla parte sana, potete vedere che cosa significhi anche il non sano. Poi c’è la guerra, che è la cosa che ci tocca di più in questo momento che ha fatto svegliare anche le anime più sopite sul concetto di confine e differenza. Allontanati, alt, non prevaricare, non oltrepassare, vattene. Questo andirivieni e questo via vai che io dico sempre, è molto diverso dal vai via in questo momento c’è un grande via vai, ma non il vai via. Invece viene capito così. Per quanto riguarda la Casa dei risvegli, il mio lavoro è sempre stato proprio quello di trasformare la parola, l’altro e trasformare la parola. Io non c’entro, trasformare la parola finché non mi tocca, non mi tocca finché non mi riguarda. Io ho detto sempre guarda che quello che ci riguarda ci riguarderà ancora un po’. Poi ha detto che non ci riguarda più perché sono occasioni perdute. Io le ho sentite tante madri, tanti padri dire “fino ad adesso non mi ero interessato al coma perché mio figlio non è mai stato in coma. Non ho avuto parenti in coma”. Il grande tema del fare outing perché ti capita quello che mi ha insegnato la Casa dei risvegli, tra le altre tante cose, è poter parlare, non dico sostituendo quei genitori, quelle storie vere come Fulvia e Maria ma cominciare a diventare tu anche quei genitori. Io lo chiamo uno shock pre traumatico, cioè prima che succeda a te, tu abbatti quel distacco, trasformi quella distanza e ne fai una piana dove vai a camminare avanti e indietro, avanti indietro e ne puoi avere un vantaggio tu. Ma non solo per prevenzione. Io lo faccio così. Se mi capita sono già pronto. No, no, no, no. Ma per un un cambio di dimensione, cambiare la dimensione di chi dice “finché non ti tocca, ripeto, non ti deve riguardare”. Questo è il punto più drammatico della distanza che se invece ti prende come cugino ti prende come nipote, allora entri da quella porta lì. Io penso che ci sia una possibilità di curare e di non guarire, perché mi interessa dire completamente curato, alle volte è molto più importante del completamente guarito. E anche lì va via un’altra, un’altra distanza tra guarire e curare, perché io voglio tornare come prima. Io invece racconto alle famiglie, non spiego o non impongo il mio pensiero. Racconto, appunto, che tutto può tornare come dopo. Quindi c’è un’altra vita. Qualcuno dice non la voglio vivere quella vita, ci sono delle leggi, si devono fare devono essere rispettate e anzi velocizzate. La mia domanda però è questa: chi reputa che quella vita sia degna la e la vuole, può essere raccontata nei media e nelle televisioni, ma non per dire fate tutti come lui, ma per dire che c’è una possibilità altra è quel salto in altro di cui parlavo per allontanarsi dalle distanze che deve essere concepita. Poi la scelta la fai tu.

R.V.    E l’altra parola “immagine” ed “immaginazione” che tu porti spesso a tutti noi, mi è sembrata molto importante, che è quella del “provare”. Tu hai lavorato su questo tema nell’ambito del rapporto-relazione che hai avuto con le prigioni, con chi vive in questi contesti chiusi e confinati. E quindi ci piacerebbe approfondire questo tema del “provare”.

A.B.    Ti ringrazio Riccardo, lo so, già anticipatamente, mi dico tanto tu comunque quando entri in galera ci esci, tanto tu comunque quando parli di coma o di malattia oncologica, parli di malattie di mente, alla fine poi tu non lo sei ancora tanto tu, tanto tu. E ho detto anche oggi ai ragazzi arrivare a tanto, cosa significa arrivare a tanto, cioè spingersi oltre o arrivare a tanto, perché c’è tutto, anche in tanto e vai oltre. Io credo che quest’ultima cosa mi serva per poter dire vai più vicino possibile a quella piccola membrana che non ti divide ma ti unisce agli altri. Questo lo puoi fare e provando. Io non sono di quelli che dicono se tu non vai in una galera, in un ospedale, non vai in una piazza e non protesti. Vuol dire che tu non esisti e sei un passivo. Ci sono persone che pregano, persone che meditano, persone che scrivono, le forme sono tante. L’importante è spingersi molto avanti. A me serve però personalmente poter entrare in un carcere per toccare mani, per dire grazie, di resistere con un ritmo e con una modalità di questo genere indegna per un Paese democratico e chiedere scusa per tutto quello che è avvenuto. Loro avranno poi il modo, se non lo hanno già fatto, di chiedere scusa per le loro colpe. Ma perché aggiungere alla colpa la tortura? Allora il grande lavoro che si deve fare, e che deve fare soprattutto l’artista, è quello proprio di fare le prove, fare le prove che nel mondo giudiziario vuole dire per accusare qualcuno devi avere le prove qua, per andare oltre, per andare in un’altra dimensione devi farle le prove farle non vuol dire costruire delle prove false per un processo, ma costruire delle cose vere. Che significa proprio vedere, sentire il rantolo, sentire i versi anche di certe patologie che con la parola “versi”, abbattendo e trasformando l’idea di distanza, diventano poeti. Noi con versi intendiamo sempre poesie. Molte persone che non riescono a parlare fanno dei versi che le loro famiglie cercano di far tacere, perché la comunità dove noi mi ci metto anche io quando sente questi versi si allontana, si spaventa, ha paura e si vergogna. Ecco, questo è uno sconfinamento che porterebbe anche a non vergognarsi più di niente, a non fare vergognare le altre persone, ma provare di essere immedesimandosi.

E.B.    Mi collego a questo tema che ha introdotto Riccardo per dire una cosa in più riguardo al lavoro che stai facendo da tantissimi anni che soprattutto quello della tua parte di artista e…

A.B.    Era ora, per fortuna non mi avete mai detto niente!

E.B.    In realtà chi ti conosce come me da tantissimi anni e ti ha seguito, abbiamo visto in tantissime volte in tantissime tue installazioni che hanno fatto molto riflettere. Di sicuro quella, quella che ha più ha fatto riflettere a me e quando sono venuta in Pinacoteca (di Bologna). Nel senso che proprio per annullare la distanza, per trasformare la distanza tra un’opera d’arte e un’opera di reato, in questo caso qua hai fatto un vero e proprio capolavoro o come dici te… “capolavorare”, raccontarci cosa è stato questo capolavorare.

A.B.    Mi fa molto piacere della tua capacità di attraversamento e oggi ho usato poco la parola capolavorare bene, dispiace, la voglio usare qui in radio. Capolavorare vuol dire non solo lavorare bene o lavorare ad arte, ma lavorare proprio per portarsi, toccarsi, toccare il capolavoro, rasentare il capolavoro. Faccio un esempio velocissimo se una persona avesse capito e lo aveva saputo e lo aveva capito ma non ha accettato denunciarlo che un ponte come il ponte Morandi sarebbe crollato. Quale più grande capolavoro avrebbe potuto fare di dirlo? E anche se ci si perdeva, ci si danneggiava l’immagine, eccetera, si sarebbero salvate delle vite e delle dignità. Questo capolavoro non è avvenuto, questa meravigliosa cupola che poteva venire, questa meravigliosa natività, questa meravigliosa epifania non non sono avvenute, qualcuno ha deciso di non capolavorare. Quindi anche chi fa lavori tecnici, ingegneristici, architettonici o semplicemente balistici può capire che non capolavorare significa distruggere la bellezza. Ma tornando alle cose a cui mi hai richiamato, sì, ho fatto soprattutto nelle pinacoteche come Bologna, a Brera o agli Uffizi, in questi luoghi, sotto l’egida dello Stato, dei Beni culturali, capiremo il perché, un raffronto tra un collegamento tra un direttore di un carcere e un direttore di un museo, nel senso che sia il direttore del carcere che il direttore del museo devono preservare, conservare, valutare e mantenere le loro opere. Il carcere ha opere e uomini lesionate e che hanno lesionato, ma devono appunto essere restaurate fuori e dentro. E il direttore del museo, deve semplicemente conservare, preservare per la storia e per il mondo, per la cultura, per la conoscenza. Questo come si fa? Nei musei si fa addirittura e seguendo quello che è una temperatura particolare, il non avvicinarsi assolutamente al quadro, sennò suona un allarme, pensate trasportando in un flight case un’opera seguita da assicuratori e agenti che vedano che l’opera non è (…), come si fa un trasporto in un cellulare di un carcerato. Negli ultimi tempi, da Santa Maria Capua Vetere fino a Modena si uccidono anche i carcerati durante il trasporto. Quindi, l’opera scompare o addirittura non viene nemmeno ritrovata in tanti casi, quando non ci sono famiglie coraggiose che richiamano l’attenzione dei media. Che cosa ho messo in mezzo a delle opere? Giotto, Cimabue? Che cosa ho messo? Ho messo una immagine che in dissolvenza e in assolvenza, parole che mi ricordano dissolvere, cioè scomparire, perché questa persona poi morta e, assolvenza perché comunque non aveva assolutamente commesso gli atti per cui era stato accusato è scomparsa era l’immagine finale del viso di Stefano Cucchi nell’obitorio. Una foto che avete visto in tanti e in quel momento proprio scompariva e compariva questa immagine e la gente doveva vederlo apparire e scomparire come apparso è scomparso e come lui ce ne sono tanti. Ma questo abbinare l’arte alla giustizia, l’arte al diritto, non è un gioco fatto semplicemente per una forma di civismo o per una forma politica sana, ma lo è perché nulla è diviso. L’arte non è divisa dalla politica, la politica non è divisa dalla giustizia, la giustizia non è divisa dall’istruzione e assolutamente tutto questo è collegato. Adesso farò un’opera che si chiama “Al tavolo delle trattative” che dopo aver ricevuto da Emergency le gambe dal Kurdistan iracheno, che sono arti artificiali che persone che sono morte, che avevano usato, non usano più, il tavolo di trattative si poggia proprio sulle gambe di queste persone. E se qualcuno mai si volesse sedere a trattare questa pace, cioè ad abbattere o trasformare definitivamente però questa guerra e questo confine estremo tra questo è mio e questo è tuo, sappiano queste persone che poggiano le loro braccia, i loro fogli su una quasi stabile, ma non del tutto forma di gambe umane, perché sono quelle che sono mancate e ne faremo altri perché se ne riproducono tantissimi, per ricordare che proprio non c’è limite, non c’è assolutamente limite tra quello che può essere una trattativa e quello che può essere anche il far capire alle persone che l’arte è una trattativa continua, costante, con la bellezza, con la perfezione, l’imperfezione, con l’armonia e col suono e anche con la parte sacra di quello che noi siamo senza essere opere sacre.

R.V.    Bene, allora ringraziamo tantissimo Alessandro Bergonzoni per essere stato con noi questo pomeriggio. Questo è Visiting per UNI.RSM Design Talks, io sono Riccardo Varini, qui con me c’è Elena Brigi. Ringraziamo tutto lo staff gli ascoltatori e le ascoltatrici di Usmaradio e grazie tantissime ad Alessandro Bergonzoni.

A.B.    Grazie a voi di queste frequenze che ho ricevuto anch’io e non solo perché era una radio.

E.B.    Grazie mille!