Filippo Mastinu

Filippo Mastinu – La sostenibile leggerezza dell’essere artigiano

ITA - #artigiano #riuso #circolarità

Wannabe

durata 06:45

WANNABE – Un podcast rivolto ai designer del futuro che esplora gli infiniti mondi del progetto attraverso l’esperienza dei suoi protagonisti.
di UNI.RSM DESIGN TALKS
a cura di Alessandro Renzi ed Emanuele Lumini
advisor Alessio Abdolahian
speaker Alessandro Renzi

Filippo Mastinu

Filippo Mastinu, architetto classe ‘70, inizia la sua carriera come modellista per studi privati dove approfondisce l’interesse per la lavorazione artigianale del legno, del ferro e della ceramica. La ricerca e l’interesse per la forma e per l’uso dei materiali sono alcuni dei temi che accrescono l’interesse verso il design e la sua rappresentazione tridimensionale. Collabora con Unirsm Design dove ha tenuto il Corso di Modellistica e svolge workshop periodici incentrati sulla produzione artigiana.
A Trieste fonda VUD: una falegnameria / emporio dedita alla produzione di pezzi artigianali per complementi d’arredo.

Filippo Mastinu - Ritratto

Sono Filippo Mastinu, in questo momento ho appena chiuso un ciclo di dieci anni della mia attività di artigiano. Sono in realtà un architetto che per anni ha fatto un po’ l’insegnante, un po’ l’architetto un po’ il maker. Così dieci anni fa, appunto ho aperto la mia attività, credo che non esista un momento preciso nel quale ho capito che avrei fatto l’artigiano.

Ammetto che non è neanche detto che continui a fare l’artigiano per sempre. Però ha prevalso sempre nel mio spirito, la voglia di usare più le mani per comunicare il mio pensiero piuttosto che la parola o la canzone. A un certo punto questa cosa si è solidificata in uno spazio nel quale porto avanti questa attività di artigiano.

 Direi che lo spirito che contraddistingue le cose che facciamo in negozio, in laboratorio, è la semplicità mi piace spesso costruire delle cose fatte di un pezzo unico piuttosto che di piccole cose.

Pochissimo materiale. Cose molto semplici, elementari, talvolta, che però spesso denunciano il fatto di essere fatte a mano, cioè non si possono fare che a mano. Questo mi piace molto, questo credo che sia la cosa che contraddistingue più la produzione di VUD. VUD è Il nome che ho dato al mio al mio laboratorio.

 L’insegnamento che io posso trasmettere è appunto fatto di semplicità, di modestia, e di auto ironia.

In questo momento, più di altri bisogna essere così semplici, auto ironici. Non bisogna prendersi troppo sul serio, però bisogna essere sempre molto seri. Mi fa molto sorridere che ogni tanto qualcuno mi chiede da dove viene sto buco che io uso fare su ogni oggetto che produco; in realtà coincide con quello che dicevo prima, cioè una sorta di segno elementare il meno possibile segno, cioè un buco per cui “un niente” in realtà, che è nato come un’esigenza pratica in alcuni oggetti che faccio, che dovevano essere appesi eccetera e che poi è diventato invece un segno distintivo.

Adesso mi piace che la gente appena vede un mio oggetto, un tavolo, un tagliere, una guglia o qualsiasi cosa, capisca immediatamente che il buco è quello di VUD. 

Quest’anno più di altre volte il mio rapporto con i rifiuti, gli scarti, le cose dimenticate, si è fatto concreto. L’analisi che faccio in generale è che siamo una società da troppo impatto, gli oggetti che abbiamo raccolto sono oggetti altamente inquinanti che hanno bisogno di processi di smaltimento complessi, che implicano energia, risorse umane, spazio, producono odori.

Questa cosa devo dire che dovrebbe in qualche modo farci ragionare sul fatto che potremo raggiungere un equilibrio solo quando ci limiteremo nel consumo di materie prime non naturali, con una consapevolezza, rispetto anche all’ambiente decisamente diversa.

 Il laboratorio di quest’anno, in realtà, affronta in maniera creativa molti elementi scartati dall’industria. Abbiamo scelto alcuni di questi elementi, in particolare, che ci sembravano quelli più interessanti.

In questo caso il lavoro del designer è quello di provare a rigenerare oggetti assolutamente funzionali con delle parti di scarti industriali che probabilmente fra una settimana sarebbero stati smaltiti in maniera diversa.

Ma io credo che un progettista in questo caso debba assolutamente porsi come obiettivo il fatto di costruire degli oggetti che abbiano un senso, che abbiano uno scopo, che abbiano un uso.

Non vedo alternativa, per cui anche in questo caso lo scarto deve essere utilizzato per avere una seconda vita e la seconda vita ce l’hai solo quando hai uno scopo o una funzione, se no non mi interessano e non ci interessano le cose solo decorative o fini a se stesse. L’obiettivo è quello di creare oggetti che funzionino. La componente ironica degli oggetti rigenerati va trovata forse all’interno di alcuni dettagli che abbiamo osato mettere negli oggetti.

Però diciamo che la riflessione iniziale è quella, appunto, di capire come comportarci in maniera intelligente rispetto agli scarti. L’ironia c’è però secondo me in questo caso non è così percettibile. Il lavoro che stiamo facendo è in realtà il lavoro che dovrebbe porsi un progettista è sempre quello, cioè di comunicare qualcosa, tu metti a disposizione un prodotto che deve darti qualcosa, deve dirti qualcosa e deve essere piacevole in questo caso credo che gli oggetti prodotti in questo workshop sicuramente trasmettono assolutamente questa intenzione.

Si tratta solamente di riuscire a cedere a un pubblico intelligente e metterlo a conoscenza del fatto che alcuni di questi scarti possono diventare degli oggetti assolutamente di grande valore culturale e comunicativo.